leggo

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" Rod, ma perché hai parlato così a quel povero vecchio? alle volte ti oDIo!" VIENI QUI, baby! "No! " si voltò e vide che Rod stava dando la caccia alla ragazza. la ragazza urlava, poi scoppiò a ridere. poi Rod l'agguantò e caddero entrambi sulla sabbia, lottando e ridendo. vide gli altri due in piedi, si ba ciavano .

arrivò al sentiero, si mise a sedere su una panchina e si tolse la sabbia dai piedi. poi si mise le scarpe. dieci minuti più tardi era in camera sua. si tolse le scarpe e si stese a letto. non accese la luce.

poi qualcuno bussò.

" Signor Sneed ? " «sì? '~ la porta s'aprì. era la padrona di casa, la signora Conners. la signora Conners aveva 65 anni, non riusciva a vedere la faccia di lei al buio. era contento di non poter vedere la faccia di lei al buio.

" Signor Sneed? " "sì?" "ho preparato un brodino. ho preparato un brodo molto buono.

Le posso portare una scodella di brodo?" " no, non lo voglio. " " ma, andiamo, signor Sneed, è un brodo buonissimo, veramente buonissimo! lasci che gliene porti una scodella! " "oh, o.k." si alzò, si accomodò su una sedia e attese.

Iei aveva lasciato la perta aperta c la luce entrava dj corridoio. una luce forte, un raggio di luce che g attraversava le gambe e il ventre. fu lì che lei piaz.

zo la mmestra. un piatto di minestra e il cucchiaio " le piacerà, signor Sneed. sono brava a fare il " grazie, " dìsse.

se ne stette lì a guardare il brodo. era color giallo piscio. era brodo di pollo. senza carne. se ne stette lì a guardare le bollicine di grasso nel brodo. rimase seduto per un po' . poi tolse il cucchiaio dal piatto e lo mise sulla credenza. poi portò il brodo fino alla finestra, sollevò la zanzariera e lo versò piano piano sul terreno. da terra si sollevò un leggero vapore. poi scomparve. rimise la scodella sulla credenza, chiuse la porta e ritornò a letto. era più buio che mai, gli piatzvd ii DUIO, li buio aveva un senso.

si mise ad ascoltare attentamente e cosi sentì l'occano. ascoltò l'occano per un po' . poi sospirò, tirò un gran sospiro e morì.

I(.X Barney le prendeva il culo mentre lei me lo succhiava; Barney finì per primo, le mise l'alluce su per il culo, lo dimenò, le chiese "ti piace 'sta mossa eh?" ma lei non potè rispondere subito. mi fece arrivare in fondo. poi bevemmo per un'ora o giù di lì. poi sul buco di culo mi piazzai io.

Barney si prese la bocca.

dopo lui tornò a casa sua. io alla mia. bevvi fino ad addormentarmi.

devono essere state le quattro e mezzo del pomeriggio, suonò il campanello. era Dan. era sempre Dan quando stavo male o avevo bisogno di dormire.

Dan era una specie di intellettuale comunista che mandava avanti un laboratorio di poesia, aveva una buona conoscenza della musica classica; aveva uno scampolo di barba e tirava sempre fuori le sue monotone battute di spirito nel corso della conversazione e, peggio ancora, ­ scrlveva versi sn r1ma.

lo guardai. "oh merda," dissi.

" stai male di nuovo, Buk ? oh, ma Buko tirerà su dell'altro muco! " com'era vero, mi precipitai in bagno e vomitai.

quando tornai era seduto sul divano con un'aria molto insolente.

" sì ? " domandai .

"beh, abbiamo bisogno di qualche tua poesia per la lettura in primavera." non mi ero mai fatto vivo alle sue letture e non m~interessavano proprio per niente ma erano anni che mi stava appresso e non sapevo come metterlo g tacere con garbo.

" Dan, non ho nessuna poesia. » "ma se una volta ne avevi degli armadi pieni." "ti spiace se do un'occhiata in quell'armadio>" " fai pure. » andai al frigorifero e ne tirai fuori una birra.

Dan stava seduto con dei fogli spiegazzati.

"vediamo, questa non è male. humm questa è una cagata! e questa è una cagata. e anche questa. hihihiii ma cosa t'ha preso, Bukowski?" ~'e che ne so." " hummmmmm. questa non è troppo male. oooh, ma questa è una cagata! e questa!" non so quante birre bevvi mentre lui faceva i suoi commenti sulle poesie. ma cominciai a sentirmi un po' meglio.

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Mercredi 6 octobre 3 06 /10 /Oct 15:45

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non so quanto tempo passammo a lavorarci quel 8 8 whiskey ma deve avermi preso proprio bene perché ricordo che quel che feci dopo fu di stendermi nudo sul letto. fissavo la lampadina elettrica e Margy era in piedi nuda e mi sfregava il pene a tutta velocità con il collo di volpe. e mentre era 1w che me lo sfregava non faceva che ripetermi, " tra un momento ti scopo, tra un momento ti scopo...

" senti, " faccio io. " non sono mica tanto sicuro che riuscirai a scoparmi. stasera mi sono già fatto una sega in ascensore. saranno state più o meno le otto.

a ti scoperò comunque. " accelerò ancora i movimenti del collo di volpe.

magnifico. forse avrei potuto procurarmene uno anch'io. un tempo conoscevo un tizio che metteva del fegato crudo in un bicchiere da long drink e se lo scopava. io, beh, a me non è mai andato di mettere il mio aìiare in una cosa che si potesse rompere o frantumarsi. ve lo immaginate, andare da un dottore con un cazzo insanguinato e raccontargli che la disgrazia è successa mentre scopavate un bicchiere. una volta mentre vagabondavo per una cittadina del Texas vidi una fica meravigliosa, con tutte le cose a posto, una giovane sposata a un nanetto vecchio e rincagnito con un caratteraccio e una malattia di qualche tipo che lo faceva tremare dalla testa ai piedi. lei lo manteneva e lo portava a spasso su una sedia a rotelle, e io che pensavo a lui che si sbatteva quel po' po' di carne da esposizione. m'ero procurato la sua foto, capite, e poi venni a sapere la storia. quan o lei era ancora ragazza s'era infilata una bottiglia di coca su per la berta e non era più riuscita a togliersela. poi andò da un dottore. ]ui riuscì a togliergliela, ma cavò anche il tappo della storia. dopo di che la reputazione della ragazza nella sua città venne rovinata per sempre e lei non fu abbastanza furba da andarsene. non la volle nessuno tranne il nanetto cattivo coi suoi tremori. se ne fregava lui ­ aveva la piU bella fica della città.

dov'ero rimasto? ah, sì.

il suo collo di volpe accelerò sempre di più e alla fine mi ritrovai con il tappo che saltava proprio mentre sentivo una chiave nella toppa della porta.

Oh, merda, doveva essere Vicki! beh, roba da poco, pensai. la sbatterò fuori a pedate e continuerò a badare ai fatti miei.

la porta si aprì ed ecco lì Vicki seguita da due poliziottì .

FAI USCIRE QUELLA DONNA DA CASA MIA! gri dò lei.

POLIZIOTTI ! non riuscivo a crederci. tirai il lenzuolo sopra il mio organo sessuale pulsante, palpitante e gigantesco e feci finta di dormire. sembrava che Iì sotto avessi un cetriolo.

Margy ic rispose urlando: ' ti conosco sai, Vicki, yv ad LUa' quest uomo si guadagna la vita leccandoti gli sporchi peli del culo! lui arriva a farti balbettare paroline al cielo in codice Morse con quella cartavetrata che ha sulla lingua, mentre tu non sei che una TROIA, un'autentica mangiatrice di merda da due dollari la botta. e questo l'hai fatto con Franky D., e avevi 48 anni ALLoRA! " a queste parole il cetriolo s'afflosciò. dovevano avere un'ottantina d'anni a testa. individualmente, cioè.

insieme avrebbero raggiunto un'età tale che gli avrebbe consentito di far pompini a Abe Lincoln. o giù di 1i. spompinare il Generale Robert E. Lee, Patrick Henrv Mozart. il dottor Samuel Johnson.

Robespierre.

Napoleone.

Machiavelli ? il vino si conserva.

Dio dura. le puttane sbocchinano.

e Vicki le rispose urlando: " CHI È LA PUTTANA ? CHI È l,A PUTTANA, EH? SEI TU LA PUTTANA, ECCO LA VERlTÀ! SONO 30 ANNI CHE VENDI QUELLA FICA lMPESTA'rA SU E GIÚ PER ALVARADO STREET! UN TOPO CIECO RINCULEREBBE PER 4 VOI,TE DI FILA SE Cl E NTRASSE UNA SOLA VOLTA! E TE NE STAI LÍ A GRIDARi BO()M! BOOM! QUANDO SEI ABBASTANZA FORTUNATA DA FAR VENIRE UN UOMO! E QUESTA È UNA DI OUELLE COSE CHE ACCADDERO QUANDO CONFUCIO SI FECE SUA MADRE! PUTTANA DA QUATTRO SOLD1.

HAI REGALATO IN GIRO PIÚ PALLE BLU TU CHE UN ALBERO DI NATALE DI DISNEYLAND.

PERCHÉ TU...

" ascoltate, signore, » disse un poliziotto. « mi vedo costretto a domandarvi di usare un linguaggio più appropriato e di abbassare il volume della voce. comprensione e gentilezza sono le caratteristiche peculiari del pensiero democratico. oh, vi confesso che sono innamorato COTTO di come Bobby Kennedy si mette quel ciuffo di capelli ribelli, così carini e svolazzanti, su un lato di quella sua testa adorabile, non piace anche a voi ? " " ma allora sei uno sporco finocchio, " disse Margy," è per questo che porti dei pantaloni così attillati, per addolcire il tuo culaccino? dio, COM È CARINO! mi fai venir quasi voglia di far un giro con te. vi guardo mentre vi chinate pezzi di merda che siete, per infilar la testa nel finestrino delle macchine per fare le multe in autostrada e mi fate sempre venir voglia di darvi un pizzicotto sul culetto godurioso." all'improvviso gli occhi smorti del poliziotto s'illuminarono, prese il manganello e rifilò un colpo a Margy su un lato della gola. lei cadde a terra.

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Mercredi 22 septembre 3 22 /09 /Sep 13:49

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Mi chiamo Isa e ho un’età indefinibile. A prima vista. Diciamo tra i venti e i trent’anni. 
Mi chiamo Isa e faccio la puttana. Non è un lavoro che amo. E’ costrizione. Più volte ho cercato di ribellarmi a questa condizione ma ne ho sempre rimediato nel freddo delle mattine un sacco di botte. Non semplici lividi e basta. Proprio ossa rotte. 

Rudy è fatto così. Quando l’ho conosciuto anni fa all’inizio era delicato e io poco più di una ragazzina. Mi portava al cinema a mangiare la pizza e una volta mi ha anche regalato un disco dei Pink Floyd che non ero mai riuscita a comprarmi. The wall. Il muro. Come la mia vita. Un enorme muro davanti. Invalicabile. 
Rudy lavorava in un’officina come apprendista meccanico io ancora studiavo e sognavo di diventare una brava segretaria e perché no magari anche una moglie. Una madre. I sogni a volte restano sogni.

I miei genitori non li ho mai conosciuti. La suora una volta mi ha raccontato che mi hanno trovata una mattina di marzo che urlavo nel silenzio. Ero viola.
Nella culla sudicia c’era solo un biglietto con sopra scritto Isabella.
Poi per Rudy sono diventata Isa la bella e la sua periferia è diventata da un giorno all’altro mia.

Rudy non è un uomo cattivo. Solo è ignorante. E manesco. Ma posso capirlo. Lui è cresciuto in mezzo alla strada e doveva in qualche modo difendersi. Quindi per lui è sempre stato più facile aggredire.
In fondo provo pena a pensarci e un po’ gli voglio anche bene. Anche se quando non mi picchia mi lascia sulla strada o si libera dei desideri più lascivi.
Io ho solo lui e altre tre persone nella mia vita.

Sono gli uomini che frequenta che mi fanno paura. Tremo quando qualcuno di loro mette piede in casa. Credo abbiano sempre con se qualche arma.
Delle volte Rudy regala loro qualche lavoretto di bocca che io devo subito fare. In silenzio. Ingoiando.

Il film che ho visto di più in assoluto è La strada di Fellini. Rudy trova stupido che io mi commuova per le sfortunate vicende di Gelsomina. Quella demente come la chiama lui.
Così lo guardo di nascosto. Meglio sarebbe dire lo guardavo perché ora il videoregistratore è rotto e siccome a lui non interessa non ne vuole sapere di cambiarlo. Quindi addio a La strada. Per il momento.

Susy Laura e Vally sono le mie compagne di strada e amiche del cuore.
Loro sono convinte che prima o poi tutto questo finirà.
Quando qualche cliente non ci separa fantastichiamo di come può essere la vita sotto al sole di una spiaggia piena di gente. Di come può essere avere un uomo che non ti costringa a fare qualcosa e di come le sigarette più buone siano quelle fumate in compagnia.
Insieme sotto al buio della notte. Io Susy Laura e Vally. Oppure sotto lo stesso ombrello se piove.
Anche perché l’acqua non è che tiene a casa i clienti.
Poi Rudy passa e chiede i soldi. Se no li prende.
Subito dopo tutte le altre mi si fanno attorno e mi asciugano gli occhi e mi accarezzano il viso dolci e mi aiutano a rifarmi il trucco.
Divento per qualche minuto la bambina che si fa consolare dopo essersi sbucciata le ginocchia cadendo.

Anche i clienti che vengono per me mi chiamano Isa la bella perché in effetti non credo di essere presuntuosa nel dire che almeno carina lo sono.
I miei capelli sono neri insoliti e corti. La mia pelle è chiara anche se le braccia hanno qualche bruciatura di sigaretta.
Non posso dire a quale dei miei genitori assomiglio. Mi piace però pensare ad entrambi.
Sono un po’ magrina ma con un bel seno.
A volte penso che se fossi nata nel ‘700 sarei stata una fantastica dama proprio come quelle che una volta vedevo nelle riproduzioni dei quadri sui libri.

Gli schiaffi di primo mattino sono quelli che più fanno bruciare la pelle.
Sono quelli che si prendono per essersi lamentati di una notte trascorsa a passeggiare sopra tacchi alti 12 cm senza che nessuna macchina si sia fermata al tuo fianco.
In quel lungo bruciore rivedi tutto. Luci di fari che si allungano. L’asfalto morbido. Le parole isteriche per riscaldarsi. I sospiri che si trasformeranno in libidine. Il cielo che sembra soffocarti o solo ridere di te. 
A volte senti anche gli odori prima che il sangue coli dal naso. Prima che la pelle creda morbido il materasso che ti ascolta sfinita.

I miei primi stivali spuntano da sotto il letto.
Pelle nera che aderisce fino sotto al ginocchio. Tacco alto. Punta spietata. Un vero orgasmo visivo per feticisti.
E’ stato un regalo di un amico di Rudy. Biglietto d’ingresso per una futura puttana. Certi uomini li esigono. Altrimenti non si eccitano.
Infiniti trucchi sul comodino proprio sotto il mio migliore amico. Lo specchio.
Mi piace specchiarmi e poi sorridere.
Una volta avevo deciso o promesso che non mi sarei più specchiata. Ero piccola. Forse pochi anni fa. Oppure troppi. 

Le suore ci avevano portato al luna park. Era primavera. Ci sentivamo grandi. Tutti in fila. Molti bambini tenevano per mano mamma o papà. A ripensarci ora mi viene da piangere. Un gusto di tristezza che nasce dallo stomaco. Siamo entrate nella sala degli specchi. Quelli che deformano le immagini. Non avevo mai visto così tante superfici riflettenti. Mai. Il mio corpo non era più il mio. Io non ero più io. Un senso di smarrimento mi ha abbracciata e poi le lacrime hanno cominciato a scendere. 
Adesso vedermi riflessa mi ricorda che ci sono.

Mi spoglio davanti allo specchio. Un corpo bello il mio. Neppure sciupato. Che potrebbe diventare mamma. 
Entro nella doccia per cancellare il buio della notte. Acqua calda su di me. Dentro la mia bocca. Dentro.
Rudy non mi ha più picchiata perché ora guadagna bene. Ha un’altra signora da mandare in giro. Splendida signora. Anche lui è diventato grande.
Ora mi permette di uscire al pomeriggio. Così vado al parco. Sulla solita panchina leggo riviste femminili e sogno i loro amori. Vorrei essere Mira Sorvino.
Posso andare anche al cinema se ne ho voglia. Sono in vacanza dalla strada. Almeno finche Rudy può contare soldi. Polvere in cambio di una mazzetta di banconote. Polvere di soldi. Polvere. Soldi.
Finché dura posso scordarmi la strada la notte l’odore delle persone i più laidi desideri il gusto di plastica dei preservativi il porno da auto. Il porno da supermercato notturno.

Mi vesto lenta. Regina di un regno interiore. Qualcosa è cambiato. Forse in meglio. Ho una casa mia adesso. Sono la donna di un criminale che ancora non ha ucciso nessuno. Vivo sola. Lui viene da me quando ne ha voglia. Di sera. E devo sempre esserci. Regina mantenuta e infelice.
La mia vicina di casa è una signora semplice. Ogni tanto parliamo. I nostri terrazzi sono vicini. Ha un bel sorriso e molti gerani. Usa i fondi del caffé per mantenerli belli. L’altro giorno me ne ha regalato uno. Diceva che il mio balcone era grigio. Troppo. L’ho trovato li. Con attaccato al vaso un biglietto d’addio a tutto quel grigio.
Io però non so fare il caffé. Non vorrei appassisse. Come molte vite.

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Jeudi 2 septembre 4 02 /09 /Sep 15:03

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- Buon giorno, dottore.
Il dottore salutò Rjuchin, ma intanto guardava non lui bensí Ivan Nikolaevič. Questi sedeva del tutto immobile, col volto cattivo, le sopracciglia aggrottate, e non si mosse neppure all'ingresso del medico.
- Ecco, dottore, - cominciò Rjuchin, chi sa perché in un sussurro misterioso, voltandosi impaurito verso Ivan Nikolaevič, - il noto poeta Ivan Bezdomnyj... Ecco, vede... Temiamo che si tratti di delirium tremens...
- Beveva molto? - chiese il dottore tra i denti.
- No. A volte beveva, ma non tanto da...
- Ha mai cercato di acchiappare scarafaggi, topi, diavoletti, o cani che corrono qua e là?
- No, - rispose Rjuchin trasalendo, - l'ho visto ieri e stamane... era perfettamente a posto.
- Perché ha solo le mutande? L'avete tirato giú dal letto?
- Vede, dottore, è venuto cosí al ristorante...
- Aha, aha, - disse il medico con aria profondamente soddisfatta, - e perché questi graffi? Ha litigato con qualcuno?
- E caduto da uno steccato, e poi al ristorante ha picchiato uno... e poi qualche altro...
- Bene, bene, bene, - disse il dottore, e voltandosi verso Ivan Nikolaevič, aggiunse:
- Buon giorno!
- Salve, sabotatore! - rispose Ivan con voce forte e rabbiosa.
Rjuchin si vergognò al punto da non osare alzare gli occhi sul medico cortese. Ma questi non si offese affatto, e con gesto agile, abituale, si tolse gli occhiali, sollevò la falda del camice, li ripose nella tasca posteriore dei pantaloni, e chiese a Ivan:
- Quanti anni ha?
- Ma andate un po' tutti al diavolo! - gridò villanamente Ivan, e gli voltò la schiena.
- Perché si arrabbia? Le ho forse detto qualcosa di spiacevole?
- Ho ventitré anni, - disse eccitato Ivan, - e vi darò querela a tutti. E in particolare a te, verme! - disse, rivolto personalmente a Rjuchin.
- Perché vuole querelarci?
- Perché hanno preso me, che sono sano, e mi hanno portato di forza in un manicomio! - rispose Ivan pieno d’ira.
A questo punto Rjuchin fissò Ivan e si sentí gelare: nei suoi occhi non c'era neppure un'ombra di pazzia. Da torbidi che erano al Griboedov erano di nuovo tornati limpidi come sempre.
«Mamma mia! - pensò spaventato Rjuchin. - Ma è proprio normale! Che sciocchezza! Ma allora, perché lo abbiamo portato qui di peso? È normale, normalissimo solo la faccia è piena di graffi...»
- Lei, - disse con calma il dottore, sedendosi su uno sgabello bianco fissato su un lucido sostegno, - non è in un manicomio, ma in una clinica, dove nessuno la tratterrà senza bisogno.
Ivan Nikolaevič lo sbirciò incredulo, però borbottò:
- Dio sia lodato! Finalmente trovo una persona normale tra tanti idioti, il primo dei quali è quel babbeo e quella nullità di Saška!
- Chi sarebbe, Saška il babbeo? - s'informò il medico.
- Eccolo qui, è Rjuchin, - rispose Ivan, e puntò il dito sporco in direzione di Rjuchin.
Quello arse di sdegno. «Che bella riconoscenza, - pensò con amarezza, - per la mia premura! È proprio un tipaccio!»
- Ha la psicologia del classico kulak , - disse Ivan Nikolaevič al quale, si vede, era saltato in mente di smascherare Rjuchin, - anzi del kulak che fa di tutto per camuffarsi da proletario. Guardate quella sua faccia ipocrita e confrontatela con le poesie altisonanti che ha scritto per il primo maggio. He-he-he... «Garrite, vessilli!» e «Sprofondate, nemici!», ma guardategli dentro che cosa pensa... e resterete di sasso! - e Ivan Nikolaevič scoppiò in una risata sinistra.
Rjuchin aveva il respiro pesante, era rosso, e pensava solo che si era scaldato una serpe in seno e che era stato premuroso con uno che, alla prova dei fatti, si era rivelato un nemico acerrimo. Il peggio è che non si poteva farci nulla: mica si discute con un malato di mente!
- E perché mai l'hanno portato qui? - chiese il medico dopo aver ascoltato con attenzione l'invettiva di Bezdomnyj.
- Il diavolo se li prenda, quegli scimuniti! Mi hanno preso, legato con degli stracci, e portato qui su un camion!
- Posso chiederle come mai è andato al ristorante con la sola biancheria intima addosso?
- Niente di strano, - rispose Ivan, - sono andato a fare un bagno nella Moscova, e mi hanno fregato i vestiti, lasciandomi questa robaccia. Non potevo mica girare per Mosca nudo! Mi sono infilato quello che c'era, perché avevo premura di arrivare al Griboedov.
Il medico guardò con espressione interrogativa Rjuchin, che borbottò tetro:
- Si chiama cosí il ristorante.
- Aha, - disse il medico, - e perché aveva tanta premura? Un appuntamento d'affari?
- Devo acciuffare il consulente, - rispose Ivan Nikolaevič, e si guardò intorno preoccupato.
- Che consulente?
- Lei conosce Berlioz? - chiese Ivan con fare significativo.
- Chi... il compositore?
Ivan perse la calma.
- Ma che compositore d'Egitto! Ah sí... No, no. Il compositore è un omonimo di Miša Berlioz.
Rjuchin non aveva voglia di parlare, ma fu costretto a spiegare:
- Il segretario del MASSOLIT, Berlioz, è stato schiacciato da un tram, questa sera ai Patriaršie.
- Non inventare quello che non sai! - inveí Ivan contro Rjuchin. - Lí c'ero io, non tu! L'ha fatto andare apposta sotto il tram!
- Gli ha dato una spinta?
- Che c'entra la «spinta»? - esclamò Ivan, infuriandosi per la stupidità generale. - Uno come lui non ha bisogno di spingere! Può giocarti certi tiri, quello, che ti lasciano a bocca aperta! Sapeva in anticipo che Berlioz sarebbe finito sotto il tram!
- Oltre a lei, qualcuno ha visto questo consulente?
- È lí il guaio, solo io e Berlioz.
- Capito. Che misure ha preso per catturare l'assassino? - il medico si voltò e lanciò un'occhiata a una donna in camice bianco, seduta a un tavolino appartato. Quella prese un foglio di carta e cominciò a riempire le parti in bianco delle varie voci.
- Che misure? Ho preso un cero in cucina
- Questo? - chiese il medico indicando il cero rotto che giaceva sul tavolino davanti alla donna, insieme con l'icona.
- Proprio questo, e...
- E l'icona a che serve?
- Già, l’icona... - Ivan arrossí. - E stata proprio l'icona a spaventarli piú di tutto -. Puntò di nuovo il dito verso Rjuchin. - Ma il fatto è che lui, il consulente... be', parliamoci chiaro... ha legami con il diavolo... e non sarà tanto facile prenderlo.
Gli infermieri, chi sa perché, si misero sull'attenti e non distolsero piú gli occhi da Ivan.
- Già, - proseguí Ivan, - ha dei legami! È un fatto sicuro. Ha parlato personalmente con Ponzio Pilato. Non è proprio il caso di guardarmi cosí, dico la pura verità! Ha visto tutto, e il balcone, e le palme. Insomma, è stato da Ponzio Pilato, ve lo garantisco io.
- Già, già...
- Allora io mi sono attaccato l'icona sul petto, e sono corso via...
L'orologio batté due colpi.
- Ohè! - esclamò Ivan e si alzò dal divano. - Sono le
due, e io sto a perdere tempo con lei! Scusi, dov'è il telefono?
- Lasciatelo telefonare, - disse il dottore agli infermieri.
Ivan afferrò il ricevitore, mentre la donna chiedeva con voce sommessa a Rjuchin:
- È sposato?
- Scapolo, - rispose Rjuchin impaurito.
- Iscritto al sindacato?
- Sí.
- Polizia? - gridò Ivan al telefono. - Polizia? Compagno poliziotto, disponga subito che mandino cinque moto con mitra per prendere il consulente straniero. Come? Mi passino a prendere, li accompagnerò io stesso... Parla il poeta Bezdomnyj, dal manicomio... Qual è il vostro indirizzo? - sussurrò al medico, coprendo il ricevitore con la mano; poi gridò di nuovo: - Mi sentite? Pronto!... È una vergogna! - urlò di colpo e sbatté il ricevitore contro il muro. Poi si voltò verso il medico, gli tese la mano, disse seccamente: «Arrivederci», e si accinse ad andarsene.
- Per carità, ma dove vuole andare? - disse il medico fissando Ivan negli occhi. - È notte inoltrata. Con addosso solo la biancheria... Lei non sta bene, resti da noi.
- Fatemi passare, - disse Ivan agli infermieri che si erano messi in fila serrata vicino alla porta. - Mi fate passare, sí o no? - urlò il poeta con voce terribile.
Rjuchin cominciò a tremare, mentre la donna premette un pulsante sul tavolino, dalla cui superficie di vetro balzò fuori una lucida scatoletta e una fiala sigillata.
- Ah, è cosí? - proferí Ivan sbalordito, guardandosi in giro come un animale braccato. - Ah sí, eh... Tanti saluti! - e si buttò a capofitto verso la tenda della finestra.
Vi fu un rumore piuttosto forte, ma il vetro dietro la tenda non s'incrinò nemmeno, e un attimo dopo, Ivan Nikolaevič si dibatteva nelle braccia degli infermieri. Rantolava, cercava di mordere, gridava:
- Vi siete messi dei bei vetri, eh! Lasciatemi! Lasciatemi!
Una siringa luccicò in mano al medico. La donna squarciò con un sol colpo la logora manica del camiciotto, e gli afferrò il braccio con una forza tutt'altro che femminile. Si sparse un odore d'etere. Ivan perse le forze nella stretta di quei quattro, e agile il medico ne approfittò per infilargli l'ago nel braccio. Lo tennero fermo ancora per qualche secondo poi lo adagiarono sul divano.
- Banditi! - urlò Ivan e balzò su dal divano, ma vi fu riposto. Non appena lo lasciarono balzò in piedi di nuovo, ma si risedette da solo. Tacque, guardandosi intorno con un certo stupore, poi sbadigliò all'improvviso, poi sorrise con rabbia.
- Ce l'avete fatta a rinchiudermi, - disse, sbadigliò ancora, si distese di colpo, poggiò la testa sul cuscino, infilò il pugno sotto la guancia come un bambino, e borbottò con
voce insonnolita, senza piú rabbia: - Tanto meglio... La pagherete voi... Io vi ho avvertiti, adesso arrangiatevi... quanto a me, quello che m'interessa di piú adesso è Ponzio Pilato... Pilato... - e chiuse gli occhi.
- Un bagno, la 117 singola, sotto sorveglianza, - ordinò il dottore mettendosi gli occhiali. Qui Rjuchin sussultò di nuovo: silenziosamente si era aperta una porta bianca oltre la quale si vedeva un corridoio illuminato dalle azzurre lampadine notturne. Dal corridoio giunse una lettiga su ruote di gomma, vi deposero Ivan che, addormentato, partí verso il corridoio, e la porta si chiuse dietro di lui.
- Dottore, - sussurrò Rjuchin sconvolto, - è proprio malato?
- Oh, sí, - rispose il medico.
- Che cos'ha? - chiese Rjuchin timidamente.
Stanco, il medico guardò Rjuchin e rispose fiacco:
- Ipereccitabilità motoria e logorrea... interpretazioni deliranti... Sembra un caso difficile. Schizofrenia, immagino. E per di piú l'etilismo...
Rjuchin non capí nulla di quel che diceva il medico salvo che le cose per Ivan Nikolaevič si mettevano piuttosto male

 

 

Download    ∟   BULGAKOV  MICHAIL : IL MAESTRO E MARGHERITA

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Jeudi 1 juillet 4 01 /07 /Juil 10:51

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Nell'ora di un tramonto primaverile insolitamente caldo apparvero presso gli stagni Patriaršie due persone. Il primo - che indossava un completo grigio estivo - era di bassa statura, scuro di carnagione, ben nutrito, calvo; teneva in mano una dignitosa lobbietta, e il suo volto, rasato con cura, era adorno di un paio di occhiali smisurati con una montatura nera di corno. Il secondo - un giovanotto dalle spalle larghe, coi capelli rossicci arruffati e un berretto a quadri buttato sulla nuca - indossava una camicia scozzese, pantaloni bianchi spiegazzati e un paio di mocassini neri. Il primo altri non era che Michail Aleksandroviè Berlioz, direttore di una rivista letteraria e presidente di una delle piú importanti associazioni letterarie moscovite, denominata per brevità MASSOLIT; il suo giovane accompagnatore era il poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv, che scriveva sotto lo pseudonimo Bezdomnyj.Giunti all'ombra dei tigli che cominciavano allora a verdeggiare, gli scrittori si precipitarono per prima cosa verso un chiosco dipinto a colori vivaci, che portava la scritta «Birra e bibite». Ma conviene rilevare la prima stranezza di quella spaventosa serata di maggio. Non solo presso il chiosco, ma in tutto il viale, parallelo alla via Malaja Bronnaja, non c'era anima viva. In un'ora in cui sembrava mancasse la forza di respirare, quando il sole che aveva arroventato Mosca sprofondava oltre la circonvallazione Sadovoe in una secca bruma, nessuno era venuto sotto l'ombra dei tigli, nessuno sedeva sulle panchine, deserto era il viale. - Mi dia dell'acqua minerale, - disse Berlioz. - Non ce n'è, - rispose la donna del chiosco e, chi sa perché, prese un'aria offesa. - Ha della birra? - chiese con voce rauca Bezdomnyj. - La devono portare stasera, - rispose la donna. - Che cos'ha? - chiese Berlioz. - Succo d'albicocca, ma non è fresco, - disse la donna. - Ce lo dia lo stesso!... Il succo formò un'abbondante schiuma gialla, e nell'aria si diffuse un odore di bottega di barbiere. Toltasi la sete, i letterati, presi da un improvviso singhiozzo, pagarono e si sedettero su una panchina di fronte allo stagno, voltando le spalle alla Bronnaja. Qui successe una seconda stranezza, che riguardava soltanto Berlioz. A un tratto egli smise di singhiozzare il suo cuore diede un forte battito, per un attimo non si sentí piú, poi riprese, ma trafitto da un ago spuntato. Inoltre, Berlioz fu preso da un terrore immotivato, ma cosí potente che gli venne voglia di correre via senza voltarsi dagli stagni Patriaršie. Si guardò in giro angosciato, non comprendendo che cosa avesse potuto spaventarlo tanto. Impallidí, si asciugò la fronte col fazzoletto pensò: «Che cos'ho? Non mi era mai successo! Il cuore mi fa degli scherzi... Mi sono affaticato troppo... Forse è il momento di mandare al diavolo tutto quanto e di andarmi a riposare a Kislovodsk...» A questo punto l'aria torrida gli si infittí davanti, e da essa si formò un diafano personaggio dall'aspetto assai strano. Un berretto da fantino sulla piccola testa, una giacca a quadretti striminzita, anch'essa fatta d'aria... Un personaggio alto piú di due metri, ma stretto di spalle, magro fino all'inverosimile, e dalla faccia - prego notarlo - beffarda. La vita di Berlioz era cosí fatta che agli avvenimenti straordinari egli non era abituato. Impallidendo ancora di piú, spalancò gli occhi e pensò sconcertato: «Non è possibile!...» Ma, ahimè, era possibile, e lo spilungone, attraverso il quale passava lo sguardo, oscillava davanti a lui senza toccare la terra. Allora il terrore s’impadroní a tal punto di Berlioz che egli chiuse gli occhi. Quando li riaprí, vide che tutto era finito, il miraggio si era dissolto, l'uomo a quadretti era sparito, e insieme l'ago spuntato gli era uscito dal cuore. - Accidenti, che diavolo! - esclamò il direttore. - Lo sai, Ivan, c'è mancato poco che mi venisse un colpo per il caldo! Ho avuto perfino una specie di allucinazione... - tentò di ridacchiare, ma negli occhi gli ballava ancora l'inquietudine e le mani tremavano. Però a poco a poco si calmò, si fece aria col fazzoletto, e proferendo con una certa baldanza: - Be', allora... - riprese il discorso che era stato interrotto dal succo di albicocca. Questo discorso, come si seppe in seguito, riguardava Gesú Cristo. Infatti, il direttore aveva commissionato al poeta, per il prossimo numero della rivista, un grande poema antireligioso. Poema che Ivan Nikolaevič aveva composto, e in brevissimo tempo, ma purtroppo senza minimamente soddisfare il direttore. Bezdomnyj aveva tratteggiato il personaggio principale del suo poema, cioè Gesú, a tinte molto fosche, eppure tutto il poema, secondo il direttore, andava rifatto di sana pianta. Ed ecco che il direttore stava tenendo una specie di conferenza su Gesú, allo scopo di sottolineare il principale errore del poeta. ......

 

 

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Jeudi 10 juin 4 10 /06 /Juin 12:01

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XII
Marte, maledettissimo poltrone!
Così sotto una donna non si reca,
e non si fotte Venere alla cieca,
con assai furia e poca discrezione.
- Io non son Marte, io son Hercol Rangone,
e fotto qui che sete Angela Greca;
e se ci fosse qui la mia ribeca,
vi sonerei fottendo una canzone.
E voi, Signora, mia dolce consorte,
su la potta ballar faresti il cazzo,
menando il culo in su, spingendo forte.
- Signor sì, che con voi, fottendo, sguazzo,
ma temo Amor che non mi dia la morte,
colle vostr'armi, essendo putto e pazzo.
- Cupido è mio ragazzo
e vostro figlio, e guarda l'arme mia
per sacrarle alla dea Poltroneria.

XIII
Dammi la lingua, appunta i piedi al muro;
stringi le coscie, e tienim stretto, stretto;
lasciat'ire a riverso in sul letto
che d'altro che di fotter non mi curo.
Ai! Traditore! Quant'hai il cazzon duro!
O! come? su la potta ci confetto!
Un dì, tormelo in culo ti prometto,
e di farlo uscir netto t'assicuro.
- Io vi ringrazio cara Lorenzina,
mi sforzerò servirvi; ma spingete,
spingete come fa la Ciabattina.
o farò adesso, e voi quando farete?
- Adesso! dammi tutta la linguina.
Ch'io muojo. - Et io, e voi cagion ne sete;
adunque voi compirete?
- Adesso, adesso faccio, Signor mio;
Adesso ho fatto. Et io; ohimè! o Dio!

 

 

Download   ∟  Aretino sonetti lussuriosi

 

 

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Jeudi 10 juin 4 10 /06 /Juin 11:49

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 Sono una troia. Di quelle insopportabili; della peg-

gior specie, una troia del XVI arrondissement, più ag-

ghindata dell'amante del tuo capo. Se sei cameriere in

un posto “in” o commesso in una boutique di lusso,

come minimo ci vuoi vedere morte, a me e a quelle co-

me me. Ma siccome non si uccide la gallina dalle uova

d'oro, la mia razza insolente perdura e prolifera…

     Sono il simbolo eclatante della persistenza del mo-

dello marxista, l'incarnazione dei Privilegi, il profumo

inebriante del Capitalismo.

    Da degna ereditiera di generazioni di donne di

mondo, passo più tempo io a limarmi le unghie, a far-

mi bella al Comptoir du Soleil o in un salone di bel-

lezza col culo su una poltrona e la testa tra le mani di

Alexandre Zouari, o a farmi tutte le vetrine del Fau-

bourg Saint-Honoré, che tu a lavorare per far fronte

ai tuoi umili bisogni.

     Sono un puro prodotto della Think Pink Genera-

tion. Il mio credo? Sii bella e consuma.

…..

   Reclutata nel vortice delle tentazioni plateali, sono

la musa del dio Apparire sul cui altare ogni mese im-

molo allegramente il corrispettivo del tuo stipendio.

     Un giorno o l'altro mi esplode l'armadio.

     Sono francese e parigina e me ne sbatto, apparten-

go a una sola comunità, la cosmopolitissima e molto

controversa Gucci Prada Tribe; il monogramma è il

mio emblema.

     Sono un po' ridicola. Su, confessalo pure che mi

prendi per un'emerita stronza griffata Gucci dalla te-

sta ai piedi, sorriso smagliante e ciglia sfarfallanti.

     Ma sbagli a sottovalutarmi: queste sono armi temi-

bili, è merito loro se un giorno o l'altro accalappierò

un marito ricco sfondato almeno quanto papà, condi-

zione indispensabile perché la mia esistenza possa

continuare così deliziosamente ed esclusivamente futi-

le. Perché lavorare non rientra nella lista dei miei in-

numerevoli talenti. Ecco, mi farò mantenere. Come

mia madre e mia nonna. Detto questo, da qualche de-

cennio la concorrenza sul mercato matrimoniale extra

lusso è feroce. I buoni partiti sono richiesti a destra e a

manca da un plotone di modelle, segretarie e soubret-

te ambiziose, disposte a tutto per la carriera, che non

si fermano davanti a niente pur di ottenere la parte del

leone. La parte del leone = un appartamento sulla riva

destra per i party + una Mercedes classe A + un guar-

daroba firmato di pessimo gusto + due marmocchi

biondi + sfida a vecchie colleghe meno fortunate.

      E già, noi della Parigi ovest siamo tutti belli e ricchi.

     Ricchi, lo capisci facilmente, visti i prezzi al metro

quadro: se non fossimo ricchi non abiteremmo certo

lì. Belli, ti sento perplesso. Riflettici un po'. In un

mondo in cui il sesso, da generazioni, è la chiave per

l'ascesa sociale, le famiglie brutte sono state epurate a

forza di matrimoni male assortiti, e l'unione tra un

trippone debordante lardo e milioni e un'arrivista ben

equipaggiata, in genere sortisce la progenie perfetta,

dotata del fisico della mamma e del conto in banca del

papà. Certo, non sempre fila tutto liscio: basta un

niente e papà si fa intortare sul lavoro e i geni di mam-

ma non riescono a spuntarla, e allora il bambino può

anche nascere brutto come il padre e spiantato come

la madre. È quella che si chiama sfiga, ma non voglio

dilungarmi su questo. Non ho preso carta e penna per

descriverti l'esistenza di gente laida e squattrinata: pri-

mo perché non ne conosco, secondo perché l'argo-

mento non è dei più allegri.

      Sai, il mondo è diviso in due: ci sono quelli come te

e poi quelli come me. Ammetto che il concetto suona

un po' ermetico…

      Mi spiego. Hai una famiglia, un mestiere, una mac-

china, un appartamento che stai ancora pagando.

Traffico, lavoro e sogni d'oro: ecco il trittico della tua

vita se tutto va bene. Se invece va male, metro, ufficio

di collocamento e insonnia causa problemi economi-

ci. Il tuo avvenire si riduce alla ripetizione del tuo

presente. I tuoi figli, se sono in gamba, al massimo

abiteranno in una casa più grande di cinquanta metri

quadri e rivestiranno in pelle i sedili della Renault Sa-

frane station wagon. Sarai fiero di loro. Ti porteranno

i pargoli in vacanza nella casa che avrai comprato nel

Sud della Francia una volta pensionato e sfinito.

     Sei un borghese medio, sai riparare la TV e la tua si-

gnora sa cucinare bene. Per sua fortuna, altrimenti l'a-

vresti mollata per una uguale in versione più giovane,

visto che ti manda in bianco da vent'anni con la scusa

dell'emicrania. L'ultima volta che l'hai toccata risale al-

l'ultima partita Francia-Italia, quando l'hai afferrata

convulsamente per il braccio perché la Francia ha se-

gnato a trenta secondi dalla fine. «Scusami tanto, cara».

      In questo momento i pensieri non ti mancano: devi

riparare la lavatrice, Jennifer s'è tinta i capelli di rosso

e sembra più devota al piercing che al catechismo,

Kevin s'è preso un accento di periferia tra i più

sguaiati. Sono entrambi mediocri e brutti. Sarà il fat-

tore ereditario. Tua moglie, frustrata, lascia intenzio-

nalmente sulla tua scrivania dei numeri di «Men's

Health». Ti sorprendi a sognare la tua segretaria in

perizoma, tua nipote in perizoma, tutti in perizoma.

La tua vita non ti soddisfa più.

     E ti è andata anche bene. Potresti abitare in un tri-

locale più cucina di periferia, senza lavastoviglie né

TV. La versione con TV sarebbe ancora peggio, perché

i tuoi sei figli la farebbero sbraitare in permanenza,

soprattutto durante i reality show.

     Potresti vivere per strada.

     Potresti anche essere dei nostri…

     Ma noi chi siamo?

     Siamo semplicemente gli eredi dei Signori dell'an-

tica Roma, dei Sovrani del Medioevo, della nobiltà di

spada del Rinascimento, dei grandi industriali del-

l'Ottocento, l'infima frazione di privilegiati che detie-

ne il cinquanta per cento del patrimonio nazionale

nelle proprie casseforti farcite di gioielli Cartier.

     La proprietà è all'origine della disuguaglianza tra

gli uomini. Noi non ci lamentiamo.

     Noi possiamo fare tutto, avere tutto, perché pos-

siamo comprare tutto. Nati con un cucchiaino d'ar-

gento nelle nostre boccucce VIP, infrangiamo allegra-

mente tutte le regole perché la legge del più ricco è

sempre la migliore.

     Che goduria sventolare la nostra opulenza-deca-

denza sotto il naso della povertà frigida e virtuosa;

Prada sbanca nella sede del Partito Comunista, il pre-

sunto padrone del mondo J.M. Messier esibisce i suoi

calzini bucati, Galliano s'ispira ai barboni del Bois de

Boulogne per la sua collezione inverno 2000… Non

lo facciamo apposta. Ci siamo rotti le palle di essere i

ricchi che fanno i ricchi. Gucci lancia il polsino brac-

ciale, i “figli di” si rasano il meno possibile, l'avenue

Montaigne pullula di berretti, Helmut Lang schizza

un po' di pittura su un jeans sporco e lo vende a cen-

tottanta euro…

     A duecento all'ora per le vie di Parigi, dov'è bene

andare al massimo quando siamo al volante, mischia-

mo l'alcol allo spinello, lo spinello alla coca, la coca al-

l'ecstasy, e i ragazzi vanno a puttane senza preservativo

e poi vengono dentro le amiche delle loro sorelline che

la danno comunque dalla sera alla mattina. Siamo in

pieno delirio, travolti da una corsa sfrenata allo spreco

smodato, al lusso lussurioso. Prendiamo il Prozac co-

me tu prendi l'aspirina, vorremmo suicidarci a ogni

estratto conto, perché è davvero vergognoso se si pensa

che altrove ci sono bambini che muoiono di fame men-

tre noi sbafiamo a più non posso. Il peso dell'ingiusti-

zia del mondo grava sulle nostre fragili spalle di bambi-

ni delicati che non siamo più. Le vittime siete tu e quel-

li come te, ma non ve lo possiamo certo rimproverare.

Qualsiasi cosa facciamo, è comunque una vergogna.

     Sì, ci versiamo addosso interi magnum dei migliori

champagne sulle spiagge di Saint-Tropez. E allora? Sie-

te mica voi a pagare il conto? E poi l'estate scorsa ho

notato che la spiaggia pubblica incollata alla Voile Rou-

ge era sempre affollatissima. La fiera del nudo come se

niente fosse, e quando passava una Porsche, perfino

una banale Boxster (tra noi la chiamiamo la Porsche

dei poveri perché non costa nemmeno cinquantamila

euro), l'aria diventava elettrica, roba da farti volare il

cappello, lasciar cadere il panino o il cornetto, spegne-

re il walkman, insomma roba da farti cadere le braccia,

da non riuscire più a respirare tra quella serie di «oh-

ah» che coprivano il rombo del motore… Se poi spun-

tava una Ferrari, era l'infarto collettivo. Inutile negare,

ero lì e vi ho visti bene, te e quelli come te… Occhi

scintillanti, mani tese, sprizzavate invidia da tutti i pori,

scavalcavate perfino lo steccato divisorio per spiare un

centimetro di perizoma, il profilo peggiore di una star e

respirare le squisite essenze di un Dom Pérignon 1985

su un costume da bagno Eres ancora umido, o sulla

pelle dorata di una riccona. Avreste dato qualunque

cosa per essere al posto nostro.

     Vi fate del male.

     Astiosi, gettate fango sulla nostra condotta. Volete

farci sentire in colpa perché spendiamo quello che voi

non possederete mai. Ma non ce la fate.

     Per la cronaca, vorrei segnalare che noi paghiamo

le tasse, che su dodici mesi di fatica estenuante a im-

partire ordini al prossimo il frutto di sei lo vediamo

col cannocchiale, che lo Stato ci salassa affinché i vo-

stri figli vadano a scuola. Allora, lasciateci in pace.

 Insomma, per ora mi sta anche bene. La mia sola

preoccupazione è cosa mettermi addosso oggi. Pranzo

con Victoria al Flandrin, dovrei essere già lì, ma visto

che lei è puntuale come lo sono io posso tranquillamen-

te avviarmi tra mezz'ora, e ci scommetto la mia borsa

Gucci che mi toccherà aspettarla almeno dieci minuti.

     Dunque, ho tre quarti d'ora per vestirmi, che non

è una cosa da nulla. Passo in rassegna il contenuto del

mio guardaroba e dei miei due armadi. Credimi, l'ab-

bondanza non è un dono, la varietà della scelta è un

problema. Una sfilza di vestiti, e niente che m'ispiri.

Resto impalata in mezzo alla stanza in perizoma, siga-

retta in bocca, piangendo quasi d'impotenza, e la cosa

mi SNERVA. Senza molta convinzione, alla fine m'infilo

un abito Joseph rosa pallido inaugurato a Saint-Tro-

pez il weekend di Pasqua, e cincischio un'altra ora

per scegliere la pashmina da abbinare.

     Le mie Pantofole Prada sono nell'ingresso, ovvia-

mente: mai nessuno che metta in ordine in questa ca-

sa. Agguanto la già citata borsa Gucci e meno male

che ho appena comprato gli ultimissimi occhiali Ch-

loé, perché solo a pensarci mi torna il buonumore.

Bella, abbronzata e griffata, lascio il mio appartamen-

to saltellando, col cuore leggero.

     Sento vibrare il cellulare.

     Numero privato.

      «Sì?».

     «Stai bene, cara? Dove sei?».

    È solo un vago conoscente, come si permette di

chiamarmi cara?

     «Sto uscendo di casa, pranzo con Victoria al Flan-

drin».

 «Aspetta, sono nei paraggi, passo a prenderti».

     «OK, ma sbrigati».

     Arriva dopo tre minuti, tronfio come al solito nella

sua Porsche; io intanto parlo al telefono con Victoria

che è ancora nella vasca da bagno, lo sapevo ma le

faccio comunque una scenata per darmi un tono. Lei

muore dal ridere, se ne sbatte.

     Filiamo a razzo sull'avenue Henri-Martin, tocchia-

mo i centocinquanta e per poco non investiamo un

idiota.

     Cinque minuti dopo siamo al Flandrin. I tavoli al-

l'aperto sono già presi d'assalto, ma che ci frega: se

non ci sono più posti, i camerieri me ne inventeranno

uno. Ah, il Flandrin…

     Nella Parigi tetra della metro e della gente anoni-

ma, esiste da qualche parte un'isola felice, lussuosa e

confortante. Oasi di pace, luogo di ritrovo, sede della

nostra comunità, Saint-Tropez in pieno settembre.

     Qui, il sole non tramonta mai. Un raggio colpisce i

capelli dorati di una splendida ragazza col naso fresco

di chirurgia, devia per accarezzare il paraurti lucente

della Bentley blu notte di un playboy stagionato che

pranza, quindi si riflette sulle lettere dorate di una bor-

sa Dior e fa brillare di mille luci il cuore di strass dei

miei occhiali Chloé. Il suo bagliore infiamma la fibbia

di una cintura Gucci, impazza sui due ori Chaumet di

una libanese che legge «Point de vue», urta il mio ac-

cendino Dupont e si perde nelle bollicine della mia

coppa di champagne…

     Victoria è appena arrivata. Si siede, ordina una ca-

prese e inizia il linciaggio dei presenti. Vedere ed esse-

re visti? No, linciare e farsi linciare. Oltre alla qualità

del servizio e della cucina (tranne i dessert che sono

notoriamente immangiabili), il Flandrin rappresenta

la fiera della mondanità, l'appuntamento del jet-set

parigino, e uno sconfinato terreno d'azione per le ma-

lelingue come noi. D'altronde non siamo le sole. Do-

vreste vedere quelle fanciulle in fiore tutte in look di

stagione, capelli mordorè, graciline, pranzare così de-

licatamente, i gomiti incollati al corpo e l'aria di non

voler toccare nulla…

     Su, avvicinati… ancora un po'… e ascolta le loro

voci rauche e veementi…

     Guarda, quella si è rifatta il naso… E Julian: chi è

la troia che pranza con lui? È una ragazza dell'Est,

l'ha comprata da Vittorio… Non sapevo che Vittorio

trafficasse in ragazze dell'Est… Come credi che le pa-

ghi le bottiglie, lo sai anche tu che la famiglia non ha

un soldo, lui viene proprio dal niente… Hai visto

Cynthia, ha una borsa Chanel da milleottocento eu-

ro… Esce di nascosto con Benji il matto, lui le paga

tutto… Dove cazzo li piglia tutti quei soldi? Si è ap-

pena comprato la nuova BMW M3?… Dalla Borsa, ma

non durerà, non ti preoccupare… Non ti girare, c'è

l'amore della tua vita… Con chi sta? Con l'amore del-

la mia vita… Stanno salutando Cynthia… Pronto, sì,

bene… Al Flandrin… nobody interesting… Ci rag-

giungi… OK, cara, un bacio… Per favore, potrei avere

una crème brûlée? Grazie… Di chi è quella Ferrari?

Come stai? Siediti pure… A Marbella, credo, ho un

amico venezuelano che affitta uno yacht di cinquanta

metri… O allora a Bali con i miei, per staccare un po'

da qui, c'è un tale piattume… Una fortuna al ca-

sinò… Quel ragazzo non lo reggo proprio… Sono sfi-

nita, ieri sono passata da Chris e abbiamo trombato

come matti… Carini un sacco i tuoi occhiali Chanel…

Grazie, mi sono anche comprata una Smart cabrio…

Sai con chi ho scopato ieri sera? Ce ne andiamo?

      Nel taxi che mi riporta a casa, ho mal di testa per le

troppe sigarette e l'impressione di aver perso tempo.

    Cosa ho fatto oggi? Ho pranzato egregiamente:

una caprese, una sogliola che ho rispedito in cucina

una prima volta per farmela spinare, e una seconda

perché intanto si era freddata; lo stesso ho fatto con

un piatto di macarons troppo dolci.

     Ho invitato Victoria, centoventi euro per un pran-

zo tra amiche mi pare onesto.

    Un imbecille ci ha fatto portare una bottiglia di

Bollinger e ce la siamo scolata. Per educazione.

     Ci hanno raggiunto Julien, David e David, rispetti-

vamente il figlio di un cantante molto famoso che mi

sono fatta, il figlio di un manager molto importante

che pure mi sono fatta, e il figlio di un ex ministro che

non mi sono fatta perché è un rospo.

     Ho salutato quarantadue persone, di cui sei che

non conoscevo e che mi sono state presentate.

     Una Ferrari Maranello immatricolata in Lussem-

burgo ha attirato la mia attenzione. Il suo proprietario

purtroppo non si è manifestato.

     Il figlio rospo dell'ex ministro è andato al cesso a

farsi una sniffata, e i figli del famoso cantante e del

manager importante hanno sfottuto di gusto la mam-

ma del figlio dell'ex ministro che i rispettivi padri si

erano abbondantemente inculati.

     Tornato dal cesso mezzo fatto e rinvigorito, il figlio

dell'ex ministro ha approfittato dell'assenza del figlio

del cantante, impegnato a inveire per interposto cellu-

lare contro i meccanici della Porsche che non gli aveva-

no ancora riparato il cambio massacrato due giorni pri-

ma durante una corsa, pure persa, contro un certo An-

drea sulla tangenziale alle tre di mattina… Dunque, di-

cevo, il figlio dell'ex ministro ha approfittato del mo-

mento per dirmi che il famoso cantante è sul lastrico.

     «Eppure il figlioletto viaggia in Porsche!».

     «Segno esteriore di una ricchezza rudimentale, ap-

pena più rappresentativo di un Nokia 8210».

      «Ah».

     E tu che sogni la nostra opulenza eclatante e dora-

ta… è tutto un bluff. Soldi, macchine, amici, case spar-

se ovunque, libero accesso ovunque… E sempre senza

avere un tubo da fare. Se non sputtanarsi a vicenda.

     La verità è che ci rompiamo profondamente per-

ché non abbiamo più niente da desiderare.

     Il mondo è troppo piccolo: a otto anni l'avevamo

già percorso in lungo e in largo in business class.

……

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Mardi 23 février 2 23 /02 /Fév 11:54

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........

I veri presentimenti si formano a profondità che il nostro spirito non

visita. Perciò, a volte, ci fanno compiere atti che interpretiamo a

rovescio.

Mi credevo più tenero a causa della mia felicità e mi rallegravo di

saper Marta in una casa che i miei ricordi felici trasformavano in

talismano.

Uno uomo disordinato che sta per morire e non lo sa, mette

all'improvviso tutto in ordine intorno a se. Cambia vita: rassetta le

sue carte, si leva presto, si corica di buon'ora, rinunzia ai vizi. I

suoi familiari se ne rallegrano. Così la sua morte brutale sembra

ancora più ingiusta. Ora sarebbe vissuto felice.

Allo stesso modo la nuova calma della mia esistenza era la toletta del

condannato. Mi credevo migliore come figlio perché ne avevo uno. Ora,

la mia tenerezza mi riavvicinava a mio padre, a mia madre, perché

qualcosa in me sapeva che fra poco avrei avuto bisogno della loro

tenerezza.

 

 

Un giorno, alle dodici, i miei fratelli tornarono da scuola gridandoci

che Marta era morta.

 

 

Il fulmine che cade sopra un uomo è così subitaneo che egli non

soffre. Ma è un triste spettacolo per colui che lo accompagna. Mentre

io non sentivo nulla, il volto di mio padre si decomponeva. Allontanò

i miei fratelli. "Andate via," balbettò. "Siete pazzi, siete pazzi."

Io avevo la sensazione d'indurirmi, di raffreddarmi, di pietrificarmi.

Poi, come in un secondo si svolgono agli occhi d'un morente tutti i

ricordi di una vita, la certezza mi svelò il mio amore con tutto

quello che aveva di mostruoso. Perché mio padre piangeva, io

singhiozzavo. Allora mia madre mi prese nelle sue mani. Con gli occhi

asciutti, mi curò freddamente, teneramente, come se avessi la

scarlattina.

 

 

La mia sincope spiegò pei miei fratelli il silenzio della casa, nei

primi giorni. Nei giorni seguenti, non capirono più. Nessuno aveva mai

proibito loro i giochi rumorosi. Tacevano. Ma, a mezzogiorno, i loro

passi sulle lastre del vestibolo mi facevano perdere i sensi come se

avessero dovuto ogni volta annunziarmi la morte di Marta.

 

 

Marta! La mia gelosia la seguiva fin nella tomba, e io desideravo che

non ci fosse nulla dopo la morte. Allo stesso modo c'è insopportabile

che la persona che amiamo si trovi in numerosa compagnia in una festa

a cui non andiamo. Il mio cuore era nell'età in cui non si pensa

ancora all'avvenire. Sì, per Marta desideravo il nulla, piuttosto che

un mondo nuovo, dove raggiungerla un giorno.

 

 


 

La sola volta che vidi Giacomo fu qualche mese dopo. Sapendo che mio

padre possedeva degli acquerelli di Marta, desiderava vederli. Siamo

sempre avidi di sorprendere quel che riguarda gli esseri che amiamo.

Volli vedere l'uomo a cui Marta aveva accordato la sua mano.

Trattenendo il respiro e camminando in punta di piedi, mi dirigevo

verso la porta semichiusa. Arrivai giusto in tempo per sentire:

"Mia moglie è morta chiamandolo. Povero piccolo! E' la mia sola

ragione di vivere."

Vedendo quel vedovo così dignitoso e che dominava la sua disperazione,

capii che l'ordine, a lungo andare, si ristabilisce da sé intorno alle

cose. Non avevo forse or ora saputo che Marta era morta chiamandomi, e

che mio figlio avrebbe avuto un'esistenza ragionevole?





Download  ◙ Raymond Radiguet - Il Diavolo In Corpo.doc

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Lundi 15 février 1 15 /02 /Fév 11:40

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Giunti a casa, dove ci sedemmo, lei in grembo a me, dopo un lungo caldo discorso con John Golz, che entrò a salutarla, ma trovò anche me, e avreb­be anche potuto andarsene, ma nel mio nuovo spi­rito io volevo subito mostrargli che lo rispettavo e che gli volevo bene, e gli parlai, e rimase due ore e io vidi quanto in realtà seccava Mardou parlandole di letteratura più di quanto lei non fosse interessa­ta e anche di cose che risapeva da un pezzo - po­vera Mardou.

Così se ne andò, ed io me la ripresi in grembo, e lei parlò della guerra fra gli uomini - “Si fanno la guerra, per loro la donna è una preda, per Yuri è solo che la tua preda ha meno valore ora.”

“Si,” dico, triste, “ma io avrei dovuto fare più at­tenzione a quel vecchio drogato, che diceva che c’è un’amante a ogni cantone - tutte eguali, ragazzo, non ti fissare con una.

“Non è vero, non è vero, quel che Yuri vuole è che tu vada giù da Dante tutti e due a ridere e a parlare di me e concludere che le donne van bene a letto e ce ne sono tante. - Io credo che tu sia co­me me - tu vuoi un solo amore - così, gli uomini trovano l’essenza nella donna, c’è un’essenza” (“Si,” pensavo, “c’è un’essenza ed è il tuo utero”) “e l’uo­mo che ce l’ha, la tiene in mano, invece scappa via a innalzare grosse costruzioni.” (Avevo letto le pri­missime pagine di Finnegans Wake e gliele spiegai dove Finnegan sta sempre a mettere “costrutto so­pra costrutto sopra costrutto» sulle rive del Liffey - merda!)

“Non dirò nulla,” pensavo - “Penserai che non sono un uomo se non impazzisco?”

“Proprio come la guerra di cui dicevi.”

“Anche le donne si fanno guerra - Oh che si fa? Penso - ora vado a casa, ed è tut­to finito davvero, non soltanto ora lei è seccata e ne ha avuto abbastanza ma mi ha offeso con un incerto senso adulterio, è stata infedele, come profetiz­zato nel sogno, il sogno di sogno sanguinoso - mi vedo mentre afferro Yuri per la camicia e lo sbatto per terra, lui tira fuori un coltello iugoslavo, io afferro una sedia per tenerlo a bada, tutti stanno a guardare... ma io continuo il sogno a occhi aperti e vedo all’improvviso il barbaglio di un angelo buffo­ne che ha fatto tutto un gioco della sua presenza sul­la terra e capisco che anche questo con Mardou è stato un gioco e penso: “Angelo buffo, alto in alto in mezzo ai sotterranei.»

“Bimbo sta a te e quello che sta dicendo lei, a quante volte mi vuoi vedere e tutto - ma io desi­dero essere indipendente dico.”

E io vado a casa avendo perso il suo amore.

A scrivere questo libro.


Download ◙ Kerouac Jack - I sotterranei

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Lundi 8 février 1 08 /02 /Fév 10:31

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....


Se la giovinezza è sciocca, è perché non è stata oziosa. Quel che

guasta i nostri sistemi educativi, è che, in omaggio al numero, son

rivolti ai mediocri. Per uno spirito che si matura, non esiste

pigrizia. Quant'ho imparato nelle lunghe giornate che, a un testimone,

sarebbero parse vuote, e nelle quali scrutavo il mio cuore novizio

come un nuovo ricco controlla i suoi gesti a tavola!

Quando non dormivo da Marta, vale a dire quasi ogni giorno,

passeggiavamo dopo pranzo, lungo la Marna, fino alle undici. Staccavo

il canotto di mio padre. Marta remava; io, disteso, appoggiavo la

testa sulle sue ginocchia. Le davo impaccio. All'improvviso un colpo

di remo, urtandomi, mi ricordava che quella gita non sarebbe durata

tutta la vita.

L'amore vuole far partecipare gli altri alla sua beatitudine. Così,

un'amante di temperamento freddo diventa carezzevole, ci bacia sul

collo, inventa mille moine, se stiamo scrivendo una lettera. Non avevo

mai tanto desiderio di baciare Marta, come quando un lavoro la

distraeva da me; mai tanto desiderio di toccarle i capelli, di

spettinarla, come quando si pettinava. Nel canotto mi precipitavo su

di lei coprendola di baci, perché lasciasse i remi, e il canotto se ne

andasse alla deriva, prigioniero delle erbe, tra le ninfee bianche e

gialle. Essa riconosceva in ciò i segni d'una passione incapace di

dominarsi, mentre quello che mi spingeva così forte era la manìa di

disturbare. Poi ancoravamo il canotto dietro alti cespugli. La paura

di esser visti o di capovolgere il canotto rendeva i nostri giochi

mille volte più voluttuosi.

Perciò non mi lamentavo dell'ostilità dei proprietari che rendeva

difficilissima la mia presenza in casa di Marta.

La mia sedicente fissazione di possederla come Giacomo non aveva

potuto possederla, di baciare un punto della sua pelle dopo averle

fatto giurare che mai altre labbra vi si erano posate, era puro

libertinaggio. Me lo confessavo? Ogni amore ha la sua giovinezza, la

sua età matura, la sua vecchiaia. Ero forse all'ultimo stadio, in cui

già l'amore non mi soddisfaceva più senza certe raffinatezze? Perché,

se la mia voluttà riposava sull'abitudine, si ravvivava anche dei

mille nonnulla, delle leggere correzioni inflitte all'abitudine. Così,

non nell'aumento delle dosi, che presto diventeranno mortali,

l'intossicato trova sulle prime l'estasi, ma nel ritmo che inventa,

sia cambiando le ore, sia ingegnandosi di disorientare altrimenti

l'organismo.

Amavo tanto quella riva destra della Marna, che frequentavo l'altra,

così diversa, per poter contemplare quella che amavo. La riva destra è

meno molle della sinistra, consacrata agli orti, alle coltivazioni,

mentre la mia è consacrata all'ozio. Legavamo il canotto a un albero,

andavamo a stenderci in mezzo al grano. Il campo, sotto il venticello

serotino, abbrividiva. Il nostro egoismo, nel suo nascondiglio,

dimenticava il danno che faceva, e sacrificava il grano all'agio del

nostro amore, come gli sacrificavamo Giacomo.

Un profumo di provvisorio eccitava i miei sensi. Aver gustato gioie

più brutali, più somiglianti a quelle che si provano senz'amore con la

prima venuta, rendeva insipide le altre.

Apprezzavo già il sonno casto, libero, il benessere di sentirsi solo

in un letto dalle lenzuola fresche. Adducevo ragioni di prudenza per

non passar più le notti da Marta. Essa ammirava la mia forza di

carattere. Io temevo anche l'irritazione che dà una certa voce

angelica delle donne che si svegliano e che, commedianti nate,

sembrano ogni mattina venire dall'aldilà.

Mi rimproveravo le mie critiche, le mie finzioni, e passavo le

giornate a chiedermi se amavo Marta più o meno di un tempo. Come

falsavo le frasi di Marta, credendo di dar loro un senso più profondo,

allo stesso modo interpretavo i suoi silenzi. Sempre a torto? Un certo

urto interno, che non si può descrivere, ci avverte che abbiamo

colpito nel segno. I miei godimenti, le mie ansie erano più forti.

Coricato al suo fianco, il desiderio che mi prendeva, da un momento

all'altro, d'essere a letto solo in casa dei miei genitori, mi faceva

prevedere insopportabile una vita passata in comune. D'altra parte,

non potevo immaginare di vivere senza Marta. Cominciavo a conoscere il

castigo dell'adulterio.

..........

Come l'ape succhia i fiori e arricchisce l'alveare, così di tutti i

desideri che lo assalgono per strada un innamorato arricchisce il suo

amore: ne dà l'utile alla sua amante. Non avevo ancora scoperto la

disciplina che dà, alle nature infedeli, la fedeltà. Se un uomo

desidera una cortigiana e riporta quell'ardore sulla donna che ama, il

suo desiderio, più vivo perché insoddisfatto, farà credere a questa

donna che mai è stata amata di più. E' ingannata, ma la morale secondo

la gente è salva. Con tali calcoli comincia il libertinaggio. Non si

condannino dunque gli uomini che son capaci d'ingannare la loro amante

nel più forte del loro amore; non li si accusi di esser leggeri.

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Vendredi 5 février 5 05 /02 /Fév 10:55

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Quella volta che venimmo contemporaneamente, rabbrividendo, e lei mi disse “Mi son sentita tutt’a un tratto persa” e lei era persa in me anche se non veniva ma frenetica della mia frenesia (obnubila­mento dei sensi come dice il Reich) e quanto le pia­ceva - tutte le nostre lezioni a letto, io mi spiego a lei, lei si spiega a me, si lavora, si geme, si fa del bop - buttiamo via le vesti e ci gettiamo l’uno verso l’altro (sempre dopo la corsetta all’acquaio perché lei si metta il diaframma e io debbo aspettare ab­bozzando e facendo buffe osservazioni e lei ride e fa scorrere l’acqua) poi lei viene qui da me pestic­ciando traverso il Giardino dell’Eden, e io allungo la mano e la faccio accomodare al mio fianco sul letto morbido, tiro a me il suo piccolo corpo ed è caldo, là dove è calda scotta, le bacio i seni bruni, tutti e due, le bacio le amate spalle - lei continua con le labbra “ps ps ps” lieve suono di baci ma veramente non c’è contatto col mio viso tranne quando per caso nel fare un’altra cosa mi muovo contro di lei e i suoi piccoli baci ps ps ps toccano e sono tristi e morbidi come quando non toccano invece é la sua piccola litania notturna e quando lei ha male e siamo preoccupati, allora mi prende su di sé, sul suo braccio, sul mio - sacrifica alla matta bestia che non sa - passo lunghe notti e molte ore a farmela, finalmente l’ho, prego che venga, la sento che respira più forte, spero contro speranza che sia tempo, rumore all’ingresso (o urla di ubriachi alla porta accanto) la distrae e non ce la fa e ride - ma quando viene la sento piangere, gridare, rabbrivi-dente scarica elettrica dell’orgasmo femminile la fa sembrare una ragazzina che piange, geme nella not­te, dura venti secondi buoni e quando é finito im­plora: “Oh perché non dura di più,” e “Oh quando verrò insieme a te?” - “Presto, vuoi scommettere,” dico io, “ti ci avvicini sempre di più” - sudo addos­so a lei nella calda triste Frisco con le sue maledette chiatte ondeggianti alla marea là fuori, vuum, vuum, e stelle che occhieggiano sull’acqua dove sciaborda sotto il molo dove immagini banditi a buttar in ac­qua cadaveri, o sorci, o L’Ombra ...
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Lundi 1 février 1 01 /02 /Fév 13:20

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Apri le coscie, acciò ch'io vegga bene
il tuo bel culo e la tua potta in viso;
culo da far mutar un cazzo d'aviso!
Potta che i cuori stilli per le vene.

Mentre ch'io vi vagheggio egli mi viene
capriccio di pasciarvi a l'improviso,
e mi par esser più bel che Narciso
nel specchio ch'il mio cazzo allegro tiene.

- Ai ribalda, ai ribaldo in terra e in letto!
Io ti veggio, puttana! e t'apparecchia,
ch'io ti rompa doi costole del petto.

- Io te n'incaco, franciosata, vecchia,
che per questo piacere arciperfetto
intrarei in un pozzo sanza secchia.

E non si trova pecchia
ghiotta dei fiori, com'io d'un nobil cazzo,
e no 'l provo ancho, e per mirarlo sguazzo.

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Mardi 26 janvier 2 26 /01 /Jan 10:46

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Io 'l voglio in cul. - Tu mi perdonerai,
o Donna, non voglio far questo peccato,
perché questo è un cibo da prelato,
ch'ha perduto il gusto sempre mai.

- Deh! mettetel' qui! - Non farò! - Sì, farai.
Perché? non s'usa più da l'altro lato,
Id est in potta? - Sìm, ma egli è più grato
il cazzo dietro che dinanzi assai.

- Da voi io vo lasciarmi consigliare
il cazzo è suo, e se 'l vi piace tanto,
com'a cazzo gli avete a comandare.

- Io l'accetto, ben mio: spingel' da canto
più su, più giù, e va senza sputare.
O cazzo buon compagno, o cazzo santo!

- Toglietel' tutto quanto.
- Io l'ho tolto entro più che volentiere,
ma ci vorrei stare un anno a sedere
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Mardi 26 janvier 2 26 /01 /Jan 10:45

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...Ma adocchiando le sue piccole grazie io ebbi sem­plicemente l’idea più lampante di quante abbia mai avuto, l’idea che dovevo immergere il mio essere solitario (“Un omaccione triste solitario” ecco cosa mi disse appena una sera dopo, sorprendendomi d’un tratto sulla sedia) nel caldo bagno e nella salvazione delle sue cosce - le intimità di giovani amanti a letto, distesi faccia a faccia, occhio nell’occhio, pet­to sul petto nudo, organo nell’organo, ginocchio contro ginocchio tremante, pelle d’oca, scambiarsi gesti esistenziali e d’amore in cambio di quell’impeto di farla - “farla,” grande espressione di lei, vedo i dentini sporti in fuori fra le piccole labbra rosse mentre dice “farla” - la chiave del dolore - lei sedeva nell’angolo, presso la finestra, di lì a poco sarebbe stata “separata” o “disciolta” o “preparata a staccarsi da questo gruppo” per sue buone ragio­ni. Andai nel suo angolo, puntellandomi al muro, ma non mi inchinai, tentai una muta comunicazione e poi parole pacate (adatte alla serata) parole da Riva Nord: “Cosa legge?” e per la prima volta lei apri la bocca e mi parlò comunicandomi un pensiero intero: se proprio non dirò che mi cadde il cuore, ammetto che mi chiesi quando e dove avevo sentito quel modo di parlare buffo, da intellettuale, parte Riva Nord, parte modello I. Magnin, parte Berkeley, parte alta borghesia, una cosa così, un misto di lan­gue e di birignao, con parole che non avevo mai sen­tito prima se non da certe, poche, ragazze, natural­mente bianche, ed eccentriche per giunta, anche A­dam se ne era accorto subito e commentò la cosa con me quella notte - ma non c’eran dubbi: quello è il modo di parlare della nuova generazione bop....

 

 

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Lundi 18 janvier 1 18 /01 /Jan 13:32

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...Ma adocchiando le sue piccole grazie io ebbi sem­plicemente l’idea più lampante di quante abbia mai avuto, l’idea che dovevo immergere il mio essere solitario (“Un omaccione triste solitario” ecco cosa mi disse appena una sera dopo, sorprendendomi d’un tratto sulla sedia) nel caldo bagno e nella salvazione delle sue cosce - le intimità di giovani amanti a letto, distesi faccia a faccia, occhio nell’occhio, pet­to sul petto nudo, organo nell’organo, ginocchio contro ginocchio tremante, pelle d’oca, scambiarsi gesti esistenziali e d’amore in cambio di quell’impeto di farla - “farla,” grande espressione di lei, vedo i dentini sporti in fuori fra le piccole labbra rosse mentre dice “farla” - la chiave del dolore - lei sedeva nell’angolo, presso la finestra, di lì a poco sarebbe stata “separata” o “disciolta” o “preparata a staccarsi da questo gruppo” per sue buone ragio­ni. Andai nel suo angolo, puntellandomi al muro, ma non mi inchinai, tentai una muta comunicazione e poi parole pacate (adatte alla serata) parole da Riva Nord: “Cosa legge?” e per la prima volta lei apri la bocca e mi parlò comunicandomi un pensiero intero: se proprio non dirò che mi cadde il cuore, ammetto che mi chiesi quando e dove avevo sentito quel modo di parlare buffo, da intellettuale, parte Riva Nord, parte modello I. Magnin, parte Berkeley, parte alta borghesia, una cosa così, un misto di lan­gue e di birignao, con parole che non avevo mai sen­tito prima se non da certe, poche, ragazze, natural­mente bianche, ed eccentriche per giunta, anche A­dam se ne era accorto subito e commentò la cosa con me quella notte - ma non c’eran dubbi: quello è il modo di parlare della nuova generazione bop....

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Lundi 11 janvier 1 11 /01 /Jan 15:09

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